Malesia, un paradiso che si sta distruggendo in nome delle multinazionali.
In principio c'era la foresta della Malesia, un grande polmone unico nella sua specie, ricco di vegetazione e di animali ancora sconosciuti agli scienziati: 7000 specie di insetti, 15000 tipi di fiori, migliaia di farfalle, 290 tipi di mammiferi. Ricca di parchi nazionali fra i quali il Taman Negara che la ha foresta pluviale antica oltre 130 milioni di anni, Kenong Rimba e Endau Rompin. Immergersi in questa natura incontaminata, intraprendere escursioni a contatto con essa nella speranza di avvistare un orango, sentire le grida del macaco dalla coda lunga o rigenerarsi davanti una scrosciante cascata sono quelle esperienze nel rispetto della natura che ameremmo fare almeno una volta nella vita. Ma non sempre i sogni si realizzano, sopratutto quando una buona parte di questa meravigliosa e anziana foresta, è stata distrutta per il mero commercio dell'olio di palma. La Malesia ha il più alto tasso di deforestazione al mondo secondo la mappa globale delle foreste di Google. Non si sono limitate a deforestare, ma a distruggere proprio le aree con maggiore densità boschiva, mettendo a serio rischio di estinzione specie come l'orango, il rinoceronte di Sumatra, l'elefante del Borneo e il leopardo nebuloso. Dopo aver bruciato senza remore ettari ed ettari, hanno provveduto ad una piantumazione di alberi per la produzione intensiva di olio di palma, una pianta che non ha nulla a che fare con la potenzialità di un albero della foresta, fondamentale per la biodiversità del pianeta. La palma utilizzata richiede una quantità di acqua spropositata e toglie i nutrienti al terreno in quantità superiore alla vegetazione locale. Inoltre, fattore fondamentale a cui portare la nostra attenzione, la foresta pluviale cattura quantità elevata di anidride carbonica (Co2) che è il primo responsabile del cambiamento climatico. Molte marche note che quotidianamente troviamo sugli scaffali si sono impegnate a togliere l'olio di palma dai loro prodotti, altre invece hanno trovato una soluzione diversa, hanno creato una tavola rotonda come faceva Re Artù, il POING, in cui l'olio di palma utilizzato arriverà da piantagioni sostenibili "concentrandosi su responsabilità ambientale, partnership con comunità locali e Integrità aziendale e di prodotto (cioè trasparenza, tracciabilità e sostenibilità nella catena di approvvigionamento e divulgazione delle prestazioni ambientali e sociali)", come si legge sul sito di Greenpeace. Peccato che già nel 2004, queste aziende aveva già creato "la Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile (Roundtable on Sustainable Palm Oil, RSPO), che Greenpeace non ritiene più affidabile a causa dei suoi bassi standard. All’interno della RSPO, infatti, ci sono anche aziende che non sono in grado di garantire che nella propria filiera produttiva non si verifichino fenomeni come la deforestazione o pratiche come l’incendio delle torbiere. Gli standard di certificazione della RSPO non ci convincono ", come si può constatare sempre dal sito di Greenpeace.
Cosa ci aspettiamo dal futuro? Altre tavole rotonde? Noi vorremmo i fatti e lo stop alla deforestazione, ma una volta per sempre.
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